sabato 30 luglio 2011

Paura per il corteo No Tav I sindaci: non ci saremo


Il ministro Maroni: giornata clou, nuove misure per isolare i violenti


La lunga estate calda dei No Tav della Val Susa contro il primo cantiere della Torino-Lione, alla Maddalena di Chiomonte, aperto dopo 22 anni di strenuo contrasto, forse potrebbe chiudersi oggi.


Con una marcia-simbolo organizzata dalle tante anime diverse del movimento e da tutti i comitati. Circonderà le recinzioni di quello che viene definito, dagli oppositori, il fortino di «Chiomontistan», dopo l’arrivo delle truppe alpine della Taurinense, impegnate nel controllo della rete di comunicazione interna e dei vari check-point. Ma il presidente No Tav della Comunità Montana, Sandro Plano, pd, non ci sarà, e con lui tutti i sindaci eletti nelle liste civiche appoggiate dai No Tav. Un segnale forte, di discontinuità dalle scene di violenza che, qui in Val Susa, i seguaci di Plano dividono però in modo equo tra i comportamenti illegali di «poche centinaia di facinorosi fuori controllo» e la reazione, piuttosto decisa e soprattutto efficace, dello Stato. Una rigida equidistanza che piace poco ad altri politici piemontesi. Come al parlamentare pd Stefano Esposito. Lui chiede da tempo l’istituzione del presidio militare per un sito di interesse strategico nazionale mentre Agostino Ghiglia, del pdl, pretenderebbe azioni «repressive» contro i «teppisti». Ieri altre sette perquisizioni della Digos, nel mirino estremisti e anche No Tav della prima generazione. Il ministro dell’Interno Maroni parla di «giornata clou e di nuove misure per contenere e isolare i violenti». E ci sono forti timori che avvengano di nuovo episodi di guerriglia come l’altra notte, quando due o trecento incappucciati, armati di spranghe, bastoni, bombe-carta potentissime, bulloni agganciati con lo scotch ai raudi, di fionde che lanciano piccoli e micidiali proiettili di piombo, hanno tentato l’ennesimo assalto al cantiere, miseramente fallito come tutti i precedenti. In questo caso, dopo tre ore di continui lanci di pietre e tutto il resto, i black bloc (così definiti dal capo della Digos, Giuseppe Petronzi) provenienti da Spagna, Francia e da ogni parte d’Italia, avvolti da nuvole di lacrimogeni sparati dagli schieramenti anti-sommossa e centrati dai getti d’acqua degli idranti, si sono finalmenti ritirati nei boschi della frazione Ramats di Chiomonte. Ci sono stati sei feriti, tra le forze dell’ordine, nessuno almeno ufficialmente - dall’altra parte. Il copione della violenza si ripete, ormai da un mese. Sempre eguale. Uno dei leader dei No Tav, Alberto Perino (già indagato dai pm della procura di Torino per istigazione a delinquere), martedì scorso in una conferenza stampa avvenuta all’interno di un presidio, era stato chiaro: «Basta attacchi davanti ai cancelli del cantiere vicino al camping, i “giovanotti” con le cesoie devono andare su nei boschi, per colpire le recinzioni dove ci sono i terreni da espropriare, dove nascerà il vero cantiere». Detto fatto. E così, nella notte tra giovedì e venerdì la «legione straniera» dei No Tav - la percentuale dei valsusini tra i manifestanti arrestati, denunciati o sottoposti a misure di sorveglianza è molto inferiore al 10 per cento - ha subito obbedito ai nuovi ordini, e s’è lanciata contro le massicce protezioni. Paradosso. Una parte del movimento ha adottato senza un attimo di esitazione i black bloc. Anzi, il neo- slogan che si affianca ai soliti, oggi suona così (anche in dialetto piemontese): «Siamo tutti black bloc». Lassù, nel camping «resistenze», è nato una specie di laboratorio sociale. Si sono ritrovati soggetti e gruppi anti-sistema o anti-stato provenienti da storie individuali e dalle esperienze più diverse: ci sono i grillini, tra i più esagitati e convinti; segmenti del popolo viola; frange dell’ecoanarchia, legata a doppio filo con il terrorismo internazionale; i centri sociali che hanno aperto agenzie in Val Susa e infine i delusi, gli scontenti della politica, di tutti i partiti del mondo, gli indignados e un nucleo di ex terroristi, in particolare di Prima Linea. Il tema di partenza, cioè il il No al Treno e al Grande Buco della Montagna, ridotto - per troppi - a un confuso totem ideologico. Comunque da abbattere.

FONTE: Massimo Numa..
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