lunedì 25 luglio 2011

Ora parla il sindaco: "Le tangenti? Io non le ho viste" Anche altri lavori nella bufera

Oldrini: «A dimettermi non ci penso nemmeno». Ma su Penati non mette le mani sul fuoco

Sesto San Giovanni, 25 luglio 2011 - Un salto nelle sezioni del partito, la lettura dei giornali, il pranzo con la moglie e, inutile negarlo, mille pensieri per la testa. Una sola convinzione: «Io sulla riqualificazione delle ex Falck vado avanti». La domenica più buia per Giorgio Oldrini, sindaco di Sesto - indagato per concussione -, militante del Pd. Città e partito nell’occhio del ciclone per una girandola, ancora presunta ma sicuramente inquietante, di soldi e mazzette distribuite per facilitare alcune questioni urbanistiche, la riconversione delle ex Falck prima di tutto. Milioni di euro, 17 miliardi di vecchie lire per essere precisi. E valigette che passano di mano in mano. E bonifici in Svizzera. E altre cose ancora. Tutto da verificare. Ma intanto il potente Filippo Penati, predecessore di Oldrini sul quale Oldrini stesso non mette le mani sul fuoco, è al centro della ricostruzione della Procura della Repubblica di Monza.
Oldrini, lei poteva non sapere? «Prego?».


Imprenditori affermano di aver pagato milioni, per anni, pur di strappare al suo Comune condizioni più favorevoli per riqualificare l’ex Falck, l’area dismessa più grande d’Europa. Può un sindaco non accorgersi di nulla? «Se la mette così, allora diciamo subito una cosa: io coi miliardi, con le tangenti, non ho nulla a che fare».
Il punto è quell’altro: possibile che non si fosse accorto di nulla, quando anche alti dirigenti della sua amministrazione sono iscritti nel registro degli indagati? «Perfino la Procura della Repubblica sostiene che la vicenda per la quale sono indagato io è assolutamente marginale. Si sta parlando di fondi per un bene pubblico, per un palazzo dello sport, non del jet privato, della bella barca. Io faccio il sindaco, e certi rapporti li tengo tutti i giorni. Come l’anno scorso per la Pro Sesto».
Che è successo? «Arrivano i dirigenti della Pro e mi dicono: noi falliamo. E io che faccio?».
Lei che fa? «Parlo con della gente, con chi a Sesto ha un po’ di soldi. Li metto in contatto, insomma. Questo faccio».
Quanto al resto, alle mazzette? «Ma che ne posso sapere io di uno che si prende le tangenti, se mai le ha prese? Abbiamo mandato in porto la riqualificazione dell’area Campari, un problema enorme, decine e decine di contatti. Nessuno ha avuto nulla da ridire. Se sapessi di loschi affari, di sicuro sarei io il primo ad andare dal magistrato».
E Penati? «Con Penati, come tutti sanno, io ho sempre avuto un rapporto complesso, per usare un eufemismo. Penso che le inchieste si fanno per accertare i fatti».
L’ha sentito quando è scoppiata la bufera? «L’ho chiamato subito. Cosa sta succedendo, gli ho chiesto. “Veramente non ne so nulla”, mi ha detto. Ma poi ha tagliato corto: aveva lì la Guardia di Finanza».
Poi? «Poi è venuto al partito. Ha detto che avrebbe voluto spiegare tutto al più presto alla magistratura. Da allora non l’ho più visto».
E i suoi collaboratori? L’assessore Pasqualino Di Leva, indagato, si è dimesso. Lei non aveva mai avuto dubbi, prima? «Di Leva lo conosco da quando aveva 16 anni. Lui e la moglie si danno da fare da una vita. Hanno una casa in affitto in una cooperativa, una figlia con un contrattino di lavoro da Cococo e una macchina più scassata della mia».
Lei che macchina ha? «Una Ford Focus station wagon».
E quanto guadagna? «Prendo 2.820 euro al mese per dodici mensilità, senza tredicesima».
Torniamo a Di Leva. «Beh, la situazione ce l’ho sotto gli occhi. Se questi hanno preso i soldi, voglio sapere dove li hanno messi. Perché io non li vedo, questi soldi. Vedo una vita assolutamente normale. Che sia un napoletano verace e caciarone che scrive sui giornali locali è vero, ma di qui a dire che ha rubato ne passa. E non poco».
Insomma, lei non vede contatti ambigui tra gli imprenditori di Sesto e i principali esponenti del suo partito? «Ma noi qui ci conosciamo tutti. Vedo situazioni normali, senza eccessi. Vacanze normali. Auto normali. Mogli e famiglie normali».
Sabato pareva che lei fosse a un passo dalle dimissioni. «Non ci ho pensato un minuto. Se mi si dimette un assessore posso sostituirlo. Se me ne vado io, cade l’amministrazione. E abbiamo delle cose da fare».
Cosa? «Adottare il piano Falck, ad esempio: l’8 e il 9 settembre lo portiamo in consiglio comunale».
Nonostante la tempesta? «Sì. Puntiamo all’adozione. Poi, a maggio, ci saranno le elezioni».
Ieri è andato in giro per i circoli del Pd. Qualche sguardo strano, qualche stretta di mano. Qualcuno vi ha dato dei ladri? Siete finiti sotto la scure del giudizio dei militanti? «Non credo. Ho raccolto solidarietà».
Eppure le accuse lanciate dall’imprenditore Giuseppe Pasini sono durissime. «Altroché. Infatti ancora oggi mi chiedo perché abbia aspettato tanto a tirarle fuori. È stato anche candidato sindaco, nostro avversario. Se queste cose le avesse dette prima avrebbe vinto in carrozza. Io penso in realtà che il peggior nemico di Pasini sia Pasini».
In che senso? «L’abbiamo salvato più volte, e l’abbiamo fatto nell’interesse della città. Come con la riqualificazione dell’ex Marelli. Altro che conflitti».
Pasini ha detto di aver fatto consegnare in Svizzera una valigetta con due miliardi a Giordano Vimercati, fidato collaboratore di Penati. «Ho letto. Francamente mi sembra una scena da libro giallo».
Insiste. Nessun rapporto drogato tra il suo partito e gli imprenditiori. Giusto? «Questa sensazione non l’ho mai avuta. Peraltro, lo dico senza offesa, questi imprenditori sono di una tirchieria totale. Fanno fatica a pagare un caffè. Figurarsi a pagare miliardi».
Ma non l’avrebbero fatto per generosità. Volevano un ritorno, ovviamente. «E che ritorno hanno avuto? Nessuno, a me risulta».
Però, magari, ci provavano. «Chiedendo a Penati? Ma perché non chiedere a me, che sono il sindaco? Lo sanno tutti che il mio rapporto con Penati è anche conflittuale. Perché andare da lui, quando il sindaco lo faccio io?».
di Piero Fachin... Il Giorno

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