venerdì 29 luglio 2011

Rivolta forcaiola contro i Dem Chi di gogna ferisce... - Bersani, Pd, Travaglio, Berlusconi, Libero,...


«Poi è ovvio che arriva la ghigliottina». La storica - a suo modo - intervista “interna” di Marco Travaglio a Barbara Spinelli sul Fatto Quotidiano (il primo è vicedirettore, la seconda editorialista) di ieri è la terrificante nemesi di Pier Luigi Bersani e forse dell’intera sinistra italiana.

La metafora fa impallidire il tintinnio di manette, il «momento magico» immediatamente successivo all’arresto di cui parlò Marcello Maddalena proprio in un famoso libro-intervista a Travaglio e tutto l’apparato che il giustizialismo ha espresso nei suoi anni migliori.Soprattutto, è il momento più basso del corto circuito che, su questo tema, attanaglia il Pd da prima che fosse tale. Al clamoroso cenno alla pena capitale del Fatto tocca aggiungere uno Scalfari che - meno truce solo nei toni - riversa contro Bersani le parole di Enrico Berlinguer che, sulla stessa Repubblica, 30 anni fa diede la famigerata intervista sulla “questione morale” dell’allora segretario del Pci. Tocca aggiungere perfino Europa e il Riformista, che pur con parole e concetti soffusi, criticano l’impasse del segretario, accusato di vagare sospeso tra giustizialismo incompiuto e autodifesa scomposta.Il guaio è che la sinistra italiana sconta un contrappasso quasi obbligato: dalla diversità berlingueriana a Mani Pulite, da Berlusconi all’ammanettamento Veltroni-Di Pietro fino all’arresto di Papa, Bersani può anche aggiungerci colpe specifiche ma nei fatti eredita un nodo irrisolto. Il pelo lisciato alla manetta attorno ad altri polsi, la carezza alle “inchieste scomode” quando grattano le rogne altrui, semplicemente si rivoltano contro, ben prima dell’eventuale sanzione giudiziaria. Quando Scalfari scrive che «la presunzione di innocenza vale sul piano giudiziario ma non su quello politico» dice una cosa tremendamente e semplicemente vera una volta assunto lo schema politico-ideologico che il Pd, per convenienza, pigrizia o convinzione, ha fatto proprio. Quello che oggi fa rivoltare i manettari contro Bersani. Quello che impedisce, nel silenzio di Berlusconi e nell’imbarazzo di Bersani, alla politica di isolare i ladri e la loro genesi e difendere il proprio residuo di credibilità e di autonomia. Quello che porta, con geometrica potenza d’immagine, a invocare «ovviamente» la ghigliottina.
«Poi è ovvio che arriva la ghigliottina», dice la vestale del trombonismo mozzorecchi (manettaro è un eufemismo che non si porta più) interrogata dal vicedirettore del giornale cui il segretario del Pd ha pensato di consegnare le sue “memorie difensive” sul caso Penati. Consegnando anche il collo suo e del suo partito a un metaforico cappio scientificamente costruito in questi anni. L’intervista della Spinelli rimbalza con l’impeto dell’inevitabile: «Mi pare di assistere a un film horror berlusconiano con sottotitoli in sovietico», dice citando Daniel Cohn-Bendit; difende perfino Libero pur senza nominarlo («se uno ti critica anche duramente per comportamenti veri, per inchieste vere, allora non c’è nessun fango, a parte quello prodotto da chi tiene quei comportamenti»). Arriva all’inaudito: «Non vedo differenza tra il linguaggio usato da Marina Berlusconi per minacciare il Fatto Quotidiano e quello usato da Bersani per minacciare azioni giudiziarie contro i giornali che a suo dire lo attaccano». Poi, il climax incalzato da Travaglio: «Pronzato? Ma quello è conflitto d’interessi sfacciato, berlusconismo puro [...] Questi giochini di parole per minimizzare sono balletti settecenteschi, minuetti e quadriglie da corte di Luigi XVI e Maria Antonietta: un passo indietro, uno avanti, ops pardon forse sono stato inopportuno... Poi è ovvio che arriva la ghigliottina».


Fonte: Martino Cervo

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