sabato 30 luglio 2011

Quattro mesi di reclusione a Sergio D’Angelo per un sit-in violento non autorizzato. Il sindaco giustizialista ora è al bivio:


Bufera a Napoli sul giustizialista De Magistris: E' già stato condannato un suo assessore


Roma. Non solo conflitto d’interessi: ora anche condannato, sia pur in contumacia. Per il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, già pm d’assalto e gran sostenitore della tesi secondo cui il politico che viene sfiorato dalle inchieste deve subito fare il famoso «passo indietro», si apre ora un caso di coscienza.
Che fare con l’assessore Sergio D’Angelo, da lui tenacemente voluto come responsabile delle Politiche sociali e ieri condannato a quattro mesi di reclusione dal Tribunale (pena sospesa e commutata in ammenda da 15mila euro) per induzione a manifestazioni violente e occupazione di suolo pubblico? Restare coerente con i proclami giacobini lanciati dai palchi dei comizi e dagli schermi tv, o convertirsi improvvisamente al garantismo?
Di materia, per un esercizio di garantismo, ce n’è eccome: la condanna è arrivata a D’Angelo per via di una manifestazione non autorizzata organizzata il 21 gennaio scorso. Quella sera duecento operatori sociali del settore assistenziale bloccarono l’ingresso del teatro San Carlo di Napoli per protesta: da diversi mesi non venivano pagati, a causa del blocco dei fondi regionali. Gli spettatori che affluivano per assistere alla prima del «Pergolesi in Olimpiade» di Roberto de Simone rimasero fuori dalle porte per almeno un’ora, prima che la mediazione delle Forze dell’ordine convincesse i manifestanti a lasciar iniziare lo show. Oggi per quel sit-in arriva una condanna, che colpisce non solo Sergio D’Angelo oggi (all’epoca dei fatti portavoce del comitato «Il welfare non è un lusso») ma anche un operatore sociale e persino la giornalista addetta stampa del comitato. I tre sono stati individuati in quanto erano i membri della delegazione che quel pomeriggio era andata a trattare in Regione: il blocco del San Carlo fu organizzato dopo l’esito negativo dell’incontro. D’Angelo rivendica «la legittimità di aver protestato in forma pacifica», scegliendo «obiettivi simbolici». E protesta: «Credo sia molto grave punire il diritto di manifestare rispolverando un decreto fascista» (il 773 del 1931).
Resta però il dilemma morale per De Magistris, che già si attirò diverse polemiche e proprio per la nomina di D’Angelo. Il quale passò agilmente nel giro di 24 ore dal ruolo di presidente del gruppo Gesco, consorzio leader negli appalti comunali sul Welfare (due società, fatturato milionario, centinaia di persone impiegate direttamente e nell’indotto) a quello di titolare della delega al Welfare. Da appaltatore a appaltante, in pratica. D’Angelo naturalmente si dimise immediatamente dall’incarico di presidente (come Berlusconi da Mediaset, si parva licet), ma non bastò a dissipare i dubbi.
di Laura Cesaretti

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