sabato 29 ottobre 2011

L'identità nazionale tra colpe e disastri

RESPONSABILITA'

di Arturo Diaconale

E' subito cominciata la caccia alle responsabilità. 
Di chi la colpa del disastro che ha colpito il Levante ligure e la Lunigiana uccidendo sette persone, provocando dieci dispersi, lasciando senza casa centinaia di abitanti e sconvolgendo una delle zone più belle e rinomate del paese? 
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha parlato di una tragedia provocata da una di quelle variazioni climatiche che da qualche tempo a questa parte hanno trasformato alcune anomalie meteorologiche in fenomeni ordinari.


Gli esperti hanno parlato di “bomba d'acqua” spiegando che questo tipo di nubifragi si vanno intensificando nel nostro paese e nel mondo a causa dei cambiamenti climatici provocati dal riscaldamento dell'atmosfera terrestre.
Sale la temperatura dei mari, cresce l'umidità, sale il vapore acqueo, si moltiplicano le precipitazioni e diventano sempre più intense e violente.

Ma basta questa spiegazione razionale ed oggettiva ad accontentare la richiesta di spiegazione che sale spontanea dalle popolazioni direttamente colpite e da una opinione pubblica ormai abituata dai media a leggere le cronache di qualsiasi vicenda come un atto processuale teso alla ricerca ed identificazione di un qualsiasi colpevole? 
Niente affatto.

Nessuno si accontenta della spiegazione dell'accidente naturale.
Nel paese in cui sono stati portati alla sbarra i geologi e gli esperti che non sono stati capaci di prevedere un fenomeno scientificamente imprevedibile come il terremoto de L'Aquila, non è neppure pensabile che ci si possa rassegnare ad accettate l'idea che a devastare le Cinque terre sia stato un maledetto uragano nostrano.

Parte allora la ricerca dei responsabili. 
E si mette a punto una lista di presunti colpevoli che inizia con i sindaci dei paesi colpiti e va avanti toccando progressivamente province, regioni, genio civile, Corpo Forestale, Protezione Civile fino ad arrivare, naturalmente, al ministero dell'Ambiente ed al governo nazionale.

Su ognuno di questi soggetti si scarica la colpa di aver fatto costruire in aree a rischio, di non aver rispetto i piani urbanistici, di non aver assicurato la pulizia dei fiumi ed il dragaggio dei canali, di non aver rimboscato o di aver consentito una antropizzazione eccessiva, di non aver controllato, studiato, prevenuto, di non aver adeguatamente finanziato tutte le opere e tutte le esigenze necessarie a tenere in ordine ed impedire i disastri nel Bel Paese.

In certi, anzi, in molti casi esistono delle responsabilità specifiche e personali. 
Ed è normale e giusto che chi ha colpe venga chiamato a risponderne. 
Ma è fin troppo evidente che la risposta di tipo giudiziario alle tragedie provocate dalla natura inclemente ed incontrollabile non possa essere considerata sufficiente .

E' necessaria una risposta diversa, più ampia, più generale, fondata sulla consapevolezza che una maggiore coscienza e responsabilità ambientale dell'intera società nazionale sia indispensabile per correggere nel tempo tutte quelle storture che sono state causate dalla mano spesso irresponsabile delle classi dirigenti.

Tutti ambientalisti, allora? 
Sicuramente si. 
Magari senza fondamentalismi o ideologismi ormai vecchi e superati. 
Ma tutti consapevoli che in nessuna altra parte del mondo come nel nostro paese la possibilità dello sviluppo passa attraverso la difesa e la valorizzazione di un territorio che ha peculiarità paesaggistiche, ambientali e culturali uniche sulla faccia del pianeta.

Alla base di questa consapevolezza ci possono essere le motivazioni più diverse.
Non a caso l'ambientalismo moderno è un fenomeno caratterizzato da più “anime” diverse.

Ma tra queste, e la sollecitazione riguarda le forze politiche del centro destra, è necessario che figuri anche la motivazione di un ambientalismo ispirato alle difesa delle peculiarità nazionali.
Cioè ad una maggiore consapevolezza del valore di una identità che di sicuro non è data dal sangue ma che in gran parte dipende dal suolo.

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