lunedì 24 ottobre 2011

Caos politico europeo


di Giuliano Ferrara


Angela Merkel e Nicolas Sarkozy meritano parole chiare e fredde. 
A nome dei loro Paesi pretendono di guidare l’Unione europea e da due anni non sanno come fare.«Gestione disastrosa», è il referto stilato dal capo dell’area euro Jean- Claude Juncker. 

La Germania è una grande economia motrice e la locomotiva ha sbuffato fino a ora, alla grande, con le esportazioni sulla sezione del mercato mondiale che tira. 
La Francia gode di infrastrutture ad alto livello e di un sistema decisionale gaullista. 
Ma Berlino da sola non ce la fa, e il suo sistema bancario è impaniato nella crisi del debito sovrano. 
Lo stesso vale per Parigi, che ha in più alle spalle una crescita patologica del debito pubblico ben oltre i parametri, goffi e cucitile su misura, di Maastricht, e nel presente soffre di un deficit troppo alto rispetto a quello dei partner e di una crisi finanziaria e bancaria di proporzioni più che rilevanti 
(la fine ingloriosa di Dexia insegna, ma è solo un anticipo).
Nessuno in Europa è in grado di dare lezioni ad alcuno dei Paesi fondatori. 

Secondo il grande economista liberal Paul Krugman, un ebreo americano di genio al quale per qualche ragione è stato perfino comminato un premio Nobel, alla radice della crisi da debito, dell’altalena di sfiducia e speculazione in cui si dondolano i mercati finanziari, c’è il moralismo punitivo a sfondo calvinista che ha fatto dell’euro l’unica moneta al mondo priva di una banca centrale capace strutturalmente, non episodicamente, di fare la funzione delle banche centrali: il prestatore di ultima istanza.

Aggiungiamo l’eco culturale della Repubblica di Weimar, l’idea apocalittica che il mostro inflazionista sia sempre in agguato, sempre sbuffante, sempre scalpitante dietro ogni angolo della storia, e che i bravi, gli operosi, i capaci, i parsimoniosi alla fine sono destinati a condividere la miseria comune con le cicale. 
Balle. 

L’inflazione si sta rivelando al momento un pericolo remoto, malgrado i potenti stimoli iniettati dagli americani nel circuito della liquidità dopo la crisi dei derivati e dell’immobiliare al quale erano collegati. E il debito, checché ne pensino economisti di valore ma a volte poco fantasiosi, come Alessandro Penati di Repubblica , si cura con la sua diluizione in altro debito, specie in emergenza, con la riduzione dei gradi di patrimonializzazione dell’economia, senza nuove tasse depressive, e con l’impiego delle risorse nella crescita economica a colpi di decise riforme liberalizzatrici e privatizzatrici. 

Se questo è vero, e mi sembra difficile che una diagnosi convergente dei massimi economisti keynesiani e dei massimi economisti liberisti possa essere smentita da qualche improvvisato nuovo pensiero, Berlusconi è forse l’unico che possa dare, non dico lezioni, ma indicazioni puntute e responsabili ai suoi partner. 
Quale Berlusconi? 
Quello che non si lagna, che non si accoda, che non aspetta, che non scarica il barile, che non ha timidezze e complessi verso nessuno, il Berlusconi vero che non ha mai messo piede in Confindustria, che creava ricchezza e valore e mercato quando si accumulava il debito pubblico, e anche grazie al debito pubblico che ha reso ricco e forte (paradossalmente) questo Paese; quello che crede nella libertà delle aziende e delle persone e del lavoro, che ha promesso una storica rottura delle vecchie regole, sia quando è entrato in politica sia di recente, quando la crisi da debito prometteva sinistramente di diventare la boa intorno alla quale fare girare i soliti giochi di potere. 

Se Berlusconi capisse, e mi sembra che sia sulla buona strada, quanto rapidamente può girare la ruota dell’intelligenza degli italiani, ché quella della fortuna è più volatile, e quanto converrebbe a lui stesso ma soprattutto al Paese una svolta dura, radicale, scandalosa e preziosa nella direzione di un’economia della libertà, quelle parole chiare, fredde, incisive, al summit europeo, e poi sempre, sistematicamente, in tv e nel Paese e nel circuito internazionale, si deciderebbe a tirarle fuori. 

Le parole da sole non bastano. Il debito lo onoriamo e siamo in grado di ridurlo con l’avanzo primario da primi della classe e il pareggio di bilancio, le nostre banche soffrono le conseguenze della solidarietà con il circuito impazzito del credito mondiale ma stanno meglio di quelle francesi e inglesi, il nostro patrimonio è immenso anche per ragioni patologiche, perché sebbene cattolici e dissipatori in realtà risparmiamo come ossessi e gli imprenditori attribuiscono dividendi spesso rinunciando a investire in ricerca e innovazione (ne tengano conto i giovani caprini di Confindustria riuniti senza i politici a far chiacchiere nell’isola bella).
Siamo in condizione di non subire alcun processo, come predicano per la gola i disfattisti troppo furbi alla Scalfari e alla De Benedetti, e possiamo dire la nostra a voce alta e con la testa all’in su.

Basta che Berlusconi faccia il suo mestiere fino in fondo, sacrosante e serie riforme liberali, provvedimenti di finanza straordinaria capaci di foraggiare l’economia reale, insomma le cose stesse per cui fa politica da quasi vent’anni.

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