giovedì 29 settembre 2011

Fallito il decimo assalto al Cav. e il Pd vuole epurare i Radicali non allineati

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Niente sfiducia a Romano, resta il nodo Bankitalia
 
Decimo assalto in nove mesi.
Fallito, come tutti gli altri.
La mozione di sfiducia al ministro Romano firmata Bersani-Di Pietro, usata come una clava per abbattere il governo si abbatte sulla testa dell’opposizione.
Ennesimo boomerang.
Non solo fallisce l’obiettivo, non solo ogni volta la maggioranza si ricompatta, ma nel Pd scoppia il caso Radicali: i sei deputati pannelliani non partecipano al voto e Franceschini minaccia di epurarli. 
Epilogo di un paradosso, o meglio, di un’opposizione senza bussola che aizza la piazza come fa Di Pietro, ripete allo sfinimento “Berlusconi si deve dimettere” come fa Bersani, o chiede il voto subito come fa Casini nell’ultima versione della tattica centrista (dopo aver posto la pregiudiziale berlusconiana vagheggiando il passo indietro del premier o l’idea di governi di salvezza nazionale). Siamo a questo e i numeri, ancora una volta lo dimostrano.

La maggioranza respinge la sfiducia individuale al ministro dell’Agricoltura con 315 voti (maggioranza qualificata nonostante le diverse assenze giustificate che secondo i calcoli d’Aula sposterebbero l’asticella a quota 325).

Esito scontato che fa dire al premier “abbiamo i numeri, avanti con le riforme” e tuttavia arriva alla fine di una giornata complicata sia a Montecitorio per la bagarre tra schieramenti, sia a Palazzo Chigi per il nodo Bankitalia: Saccomanni o Grilli a Palazzo Koch?

Dietro lo stallo, si consuma un nuovo braccio di ferro tra il Cav. e Tremonti (a conferma che tra i due c’è solo una tregua armata): primo raccoglie le indicazioni di Mario Draghi, gradite anche al Colle, sull’attuale numero due di Bankitalia, mentre il secondo che non ha rapporti idilliaci col neo-presidente della Bce, sponsorizza il direttore generale del Tesoro tirando dalla sua parte Bossi che ieri ha motivato la sua opzione a sostegno di Grilli col fatto che si tratta di un milanese.
Stranezze padane.

Che la soluzione sulla casella di un’istituzione così importante non sia facile e tantomeno immediata, è un dato oggettivo considerando l’iter che ne accompagna la nomina: è in capo al premier ma deve ottenere la ratifica dal governo, quindi passa al capo dello Stato e infine deve avere il placet di Bankitalia che può anche rigettarla.
Saccomanni e Grilli hanno curricula di altissimo profilo ma è altrettanto vero che la situazione di stallo e soprattutto la distanza tra Berlusconi e Tremonti, rischia di bruciarli entrambi.

Gaetano Quagliariello è convinto che per un incarico tanto importante anche per il ruolo internazionale che comporta (il governatore di Bankitalia siede nel board della Bce), si debba trovare un “concorso molto ampio” nel quale convergano il più possibile le elites e il governo; per farlo occorre “guadagnare qualche giorno in più”, anche perché non è pensabile che “qualcuno abbia diritto di veto e l’altro si debba accontentare”.

E’ molto probabile che oggi se ne torni a discutere nel vertice di maggiorana convocato a Palazzo Grazioli se è vero che ieri il Cav. avrebbe rivelato ad alcuni parlamentari la sua amarezza e la fatica della mediazione nel tentativo di mettere d’accordo tutti.

A Montecitorio il boomerang anti-Cav. colpisce in piena fronte il Pd, al termine di una giornata ad altissima tensione.
Con la ‘sorpresa’ dei Radicali che non votano per protesta contro il parere del Senato sull’amnistia.
I democratici restano spiazzati ma subito dopo parte il fuoco di fila contro i pannelliani culminato nelle parole di Franceschini che arriva ad invocare l’espulsione.  
Risultato: oggi la direzione Pd dovrà dire che fine faranno i sei deputati non allineati.

Del clima a Montecitorio colpiscono le parole, i toni giustialisti, i gesti, i tanti manifesti, cartelli, foto e magliette esibite come vessilli contro il premier e il governo.
Colpisce il tasso di strumentalizzazione di una vicenda aperta con l’indagine tra il 2002 e il 2005 e chiusa con l’assoluzione; successivamente riaperta sulla base della testimonianza di un solo pentito un mese dopo la nomina di Romano a sottosegretario del governo Berlusconi (2005) e arrivata a richiesta di archiviazione sempre da parte dei pm.

Fino alla recente decisione del gup di imputazione coatta assunta poco dopo la nomina di Romano a ministro. In tutto sono passati otto anni.
Lo ha spiegato lui stesso in Aula prima del voto sostenendo che “quello che un tempo era l’ordine giudiziario ormai ha soverchiato il Parlamento e ne vuole condizionare le scelte”. Insomma, un voto politico per togliergli la carica nel tentativo di far cadere il governo. 

 “Io non sono mai stato rinviato a giudizio, non ho mai subito nè processi nè condanne. Non ho nessun peso, nè giudiziario nè di coscienza”.
Ma “se tutto questo è la conseguenza della scelta che ho fatto” lasciando l’Udc e passando ai Responsabili “sono disposto ad accettarlo”, dice Romano.
Il sospetto che si sia trattato di un voto tutto politico diventa palese nella ‘requisitoria’ di Di Pietro che dà di ‘colluso con la mafia’ a mezzo governo, di quaquaraquà ai deputati che il 14 dicembre hanno scelto di sostenere la maggioranza e di ‘mammasantissima’ al ministro Romano.

E per non farsi mancare nulla, ripete il vaticinio di alcuni giorni fa quando disse che se Berlusconi resta a Palazzo Chigi prima o poi ci scappa il morto.
L’evoluzione del concetto è: esiste il rischio di una rivolta sociale e di piazza.

Sospetto che torna nella lezioncina di morale che il centrista Adornato sciorina confezionandola con battute sprezzanti rivolte al ministro del tipo ‘folgorato sulla strada di Arcore’ o ancora: “Ha confuso Don Sturzo con il Don Perignon”, è ancora più  evidente nell’intervento del pasdaran finiano Granata che insieme ai colleghi di partito tiene in bella vista sui banchi la vignetta di Vauro “Il Porno Stato” pubblicata a tutta pagina sul Fatto Quotidiano.

Nelle file della maggioranza, la Lega bolla come “grave strumentalizzazione” la sfiducia a Romano al quale però, ricorda un elenco di cose da fare per gli agricoltori; mentre Fabrizio Cicchitto osserva che l’opposizione voleva colpire il governo e per farlo ha radicalizzato lo scontro ma ha ottenuto l’effetto contrario: il ricompattamento della maggioranza.

A Di Pietro, a Soro che esorta ad “allontanare l’ombra della mafia dal parlamento” o ad Adornato che in pratica dice al Pdl quanto ci mettete a scaricare il Cav., replica Manlio Contento (pidiellino) ripercorrendo le tappe della vicenda giudiziaria di Romano e stigmatizzando certi comportamenti della magistratura come nel caso del governatore siciliano Lombardo “che accusato da alcuni pentiti addirittura di aver incontrato i mafiosi, si è visto derubricare il reato”.
Ne ha anche per Adornato dal quale “non intendiamo prendere lezioni, perché lui è stato un beneficiato da Berlusconi”.

Questo il clima che a fine seduta fa commentare il presidente della Camera Fini così: per l’esperienza che ho mi pare che si sia aperta la campagna elettorale.
Ma i numeri a Montecitorio continuano a dire il contrario.

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