venerdì 16 dicembre 2011

Il Cav. non scarica Monti (per ora) ma apre la campagna elettorale


di Lucia Bigozzi


Silvio Berlusconi non è Giulio Tremonti.
Non è sparito, non sta in silenzio, non ha abbandonato il campo.
Ci sta con tutte e due le gambe, tratta con Monti su una manovra che il Pdl manda giù a gran fatica perché non sta nel suo dna e che in questa fase di emergenza per il paese “è il male minore”.

Ma soprattutto apre la campagna elettorale non dando per scontato che il governo arrivi al 2013.
Il parallelismo per un verso con l’ex ministro del Tesoro e per l’altro con Umberto Bossi che ieri ha declinato l’ennesimo invito ad un faccia a faccia chiarificatore, è il doppio fil rouge sul quale il Cav. si muove.
L’occasione è la presentazione del libro di Bruno Vespa, ma è quella giusta per dire – proprio alla vigilia del voto di fiducia sul decreto - cosa pensa della manovra del Prof. di Varese, della linea imposta dalla Merkel, delle uscite “ruvide e rustiche” del Senatur, dei rapporti (futuri ed eventuali) con l’Udc, delle riforme costituzionali per cambiare l’architettura dello Stato, della leadership del Pdl e della riforma della legge elettorale a prescindere dal giudizio della Consulta sul referendum. 


Di carne al fuoco ne mette molta, mandando messaggi sia a Monti che al suo partito e all’ex alleato che il Cav. nonostante i toni e gli show padani in Parlamento (ieri il replay della bagarre al Senato) non considera affatto ex.
Glissa su Tremonti, seppure sollecitato dalle domande, compresa quella sull’ipotesi di un suo approdo alla Lega.
Ma quel poco che dice, basta a dare la sensazione di un rapporto ormai deteriorato e come tale difficile da recuperare.
Tremonti con la Lega?

“Lui è sempre stato molto vicino a Bossi, è sempre andato alle manifestazioni della Lega, mai a quelle del Pdl”.
Sul ‘limbo di Tremonti tra Lega e Pdl’ e l’eventualità che la mancata analisi dei motivi di rottura possa essere di ostacolo alla strategia di recupero del consenso, Berlusconi prova a uscirne così: “Vorrei invitarla a tornare sul tema dell’amore”.
Aggiunge che la sua era “una non risposta” perché “dare una risposta avrebbe conseguenze negative”.
Domanda perfida: “Per lei o per Tremonti?”.
Il Cav. incassa ma tace.

E Bossi?
“Non ci sono rapporti tesi con la Lega. Siamo stati al governo per molti anni. Voglio bene a Bossi e lui ne vuole a me; solo che adesso fa il suo gioco – è già aumentato di un punto e mezzo nei sondaggi – perché ritiene di aumentare il proprio bottino di voti. Al momento delle elezioni vedremo cosa succederà. Un conto è ciò che appare un conto è ciò che è”.
Frase quest’ultima che fa capire come il Cav. sia convinto di ricucire lo strappo e del resto sottolinea due aspetti: il fatto di aver smussato gli angoli della Lega in origine di lotta dura e pura, e di aver contribuito a farla diventare una forza di governo (un po’ come con Fini ai tempi del Msi) , oltre al fatto che quelli del Carroccio “non sono così masochisti, sanno che se vanno da soli alle amministrative di primavera perdono e fanno perdere a noi tutto il Nord”.


Dunque, il primo banco di prova per tastare il polso di un’alleanza sospesa sarà tra qualche mese.
La porta resta aperta, anche se Bossi ieri ha rifiutato di incontrarlo dicendo con tono alquanto sprezzante ma in linea con lo stile della Lega di lotta “se lo incontro mi metto a ridere”.
La porta resta aperta, consapevole che tutto il percorso fatto in questi anni non può essere cancellato dalla parentesi di un “governo di missione”. Non forza Berlusconi, per questo si mantiene prudente lasciandosi andare – perché stuzzicato - a una replica altrettanto pepata del tipo “se lui dice che lo faccio ridere io potrei rispondere che lui mi fa piangere, ma non lo dico”.
Il ragionamento a tutto tondo comprende anche il ‘dossier’ Udc.

Il Cav. rileva l’anomalia di un partito che col Pdl a Bruxelles sta nello stesso gruppo parlamentare e in Italia finora è stato all’opposizione del Pdl e del suo governo.
E’ chiaro che guardi al dialogo coi centristi e lo si capisce quando premette che a rompere il rapporto con Casini nel 2007 fu Fini che alla vigilia della nascita del Pdl pose il veto all’ingresso di Casini che avrebbe dovuto farlo rinunciando al simbolo del suo partito, come accaduto per An.
“Fini pretese la non alleanza con l’Udc pena la sua uscita dal Pdl.
Io, invece, avrei accettato l’ingresso di Casini col suo simbolo”.

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