mercoledì 7 dicembre 2011

Berlino mit uns

di Alberto Brambilla

Il rischio declassamento per i primi della classe frena i mercati e fa irritare Bruxelles, ma ricorda alla Germania che condividere i rischi con l’Europa è inevitabile. 
Gli Stati Uniti incoraggiano l’unione fiscale 

 Con la minaccia di declassare i rating di Francia, Germania, e tredici paesi della zona euro, l’agenzia di rating Standard&Poor’s ha di fatto messo sotto osservazione la politica europea in vista del vertice di domani e venerdì. 
Dall’esito del quale dipenderà pure la decisione sul futuro della tripla A, ovvero del giudizio massimo, di Berlino, Parigi, e altri paesi “blasonati” (e di conseguenza anche le emissioni del fondo salva stati, Efsf). S&P’s ha notato “la mancanza di progressi fatti dai politici europei nel frenare la diffusione della crisi finanziaria” che “riflette la debolezza della capacità decisionale”, si legge nella nota indirizzata alla Germania. 

Animato proprio dal senso di urgenza, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy domani proporrà ai capi di stato un documento di due pagine, rivelato dal sito web della Stampa, per “una maggiore convergenza economica” con la possibilità di introdurre sanzioni – fino alla sospensione del diritto di voto – per chi non rispetta i vincoli di deficit e debito. 
La mossa inattesa dell’agenzia, comunicata lunedì sera, ha spinto ieri le Borse europee al ribasso, mettendo fine all’euforia di lunedì. 
Sulla scorta dei listini asiatici che già scontavano l’“effetto S&P’s”, a chiudere peggio tra i “big” europei è stata proprio la Borsa di Francoforte (meno 1,27). 
Milano ha finito a meno 0,5, con lo spread tra Btp-Bund che ha chiuso a 368 punti base e il rendimento tornato ai livelli di agosto (5,8 per cento).

Il segretario al Tesoro statunitense Timothy Geithner, arrivato ieri in Europa, ha lodato “l’intesa fiscale” in fieri e poi ha accennato al ruolo di Mario Draghi: “La Bce ha giocato un ruolo centrale in questa crisi, ed è ovvio che continuerà a farlo”. 

Ma a Bruxelles sono prevalse le polemiche sulla tempistica scelta da S&P’s: il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, l’ha definita “scorretta”; il commissario Ue Olli Rehn ha chiesto invece che la sorveglianza venga esercitata da “istituzioni democratiche” e non da aziende private. 
Eppure la consapevolezza che nessuno è immune dalla crisi del debito si fa largo anche in Germania. 

Certo, la cancelliera tedesca Angela Merkel, forse galvanizzata dai dati sugli ordinativi delle imprese nazionali in ottobre (più 5,2 dopo tre mesi di calo), ha detto che andrà “avanti sul percorso di riforme tracciato” con la Francia per una maggiore integrazione fiscale in Europa. Controcorrente, il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, ha accolto le minacce come “il miglior incitamento possibile” per i leader europei. 
Ma se Berlino ostenta sicurezza, a parlare sono i rendimenti dei bund decennali, saliti in mattinata al 2,19 per cento, segno di un aumento del rischio, di pari passo con quelli francesi a medesima scadenza. 

E ancora di più, confermano gli analisti, si aggiunge la possibilità che in caso di declassamento del merito di credito sui titoli di lungo termine gli investitori comincino a disertare le aste di titoli tedeschi, preferendo quelli del Tesoro americano per ripararsi dai rischi di un’economia europea debole. 
Secondo i dati diffusi ieri da Eurostat, infatti, la crescita rallenta: nel terzo trimestre il pil della zona euro è cresciuto dell’1,4 per cento su base annua contro l’1,7 del trimestre precedente.

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