venerdì 9 dicembre 2011

Dal Cavaliere al Commendatore


                      di   Arturo Diaconale


Dicono che il Commendatore del Don Giovanni apparso sul palco della Scala tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il Presidente del Consiglio Mario Monti alla prima del Don Giovanni debba essere considerato come una allegoria dell'attuale fase politica.

E non sia altro che la rappresentazione allegorica del fantasma di Silvio Berlusconi che si rifiuta di restare chiuso nel cimitero degli sconfitti e si aggira inquieto ed incerto nel paese.

Può essere che gli autori della trovata scenica abbiano effettivamente pensato ad una allegoria di stampo antiberlusconiano. In questi giorni si assiste al curioso fenomeno della sindrome dell'orfano che pare abbia colpito i più intransigenti e viscerali nemici del Cavaliere. 
E può essere benissimo che anche alla Scala ci sia un orfanello inconsolabile che, non avendo più sottomano la propria ragione di odio e di vita, abbia deciso di riesumarlo nel panni non di Don Giovanni ma del Commendatore.

Se così fosse nessuno si dovrebbe scandalizzare. I berlusconiani, al contrario, dovrebbero rallegrarsi per questa ennesima dimostrazione di struggente nostalgia per il loro leader. 

E le persone non faziose e di buon senso potrebbero tranquillamente considerare come una semplice caduta di stile la trovata allegoria inserita nell'opera di Mozart.
Più che scandalizzarsi e protestare, infatti, c'è da chiedersi se il gioco allegorico sia quello giusto o meno. In pratica, se il fantasma del Commedatore sia effettivamente quello di Berlusconi o se, invece, a spuntare minaccioso tra Napolitano e Monti sia stato una altro e diverso fantasma, magari più inquietante, minaccioso e pericoloso di quello del Cavaliere.

La concomitanza del vertice europeo di Bruxelles, quello in cui Merkel e Sarkozy hanno chiesto nuove regole per l'euro, impone un interrogativo del genere. 

E se il fantasma del Commendatore fosse l'incapacità dell'Europa di dare una soluzione effettiva e definitiva alla crisi dell'euro? 
E se tra Napolitano e Monti fosse spuntato lo spettro dell'eventualità che i sacrifici imposti nei giorni scorsi agli italiani da una manovra aggiuntiva fatta di sole tasse e di nessuna riforma strutturale possano essere irrisi, annullati, vanificati dal vuoto politico esistente al vertice dell'Europa? 

Napolitano e Monti farebbero bene a porre questa questione al centro delle loro preoccupazioni.
Perché è stato facile sostituire in nome dell'emergenza un governo politico legittimato dagli elettori con un governo tecnico imposto dalle lobby bancarie, editoriali e burocratiche del paese. 


Ed è stato ancora più facile infierire sulle categorie più deboli della società italiana con una stangata diretta solo a fare cassa ed avere i conti in regola per far sentire la voce dell'Italia in Europa.
Ma adesso questa voce deve farsi sentire. 

E, soprattutto, deve contribuire a risolvere la vera causa della crisi in cui il paese si trova ormai da alcuni anni a questa parte. Cioè la crisi dell'euro dovuta all'assenza di una Europa dilaniata dagli interessi nazionali delle sue nazioni più forti.

Il difficile, per Napolitano e Monti, ormai uniti dalla formula del “Governo del Presidente”, viene proprio adesso. 

E non viene dal fantasma di Berlusconi o di Bersani o di qualche altro esponente politico italiano, ma viene da Bruxelles, da Parigi, da Berlino. 
Ed è rappresentato dal pericolo che la crisi dell'euro e dell'Europa non trovi una qualche soluzione e che gli italiani (ma anche molti altri popoli europei) debbano prendere atto di aver buttato i propri sacrifici al vento degli egoismi di Merkel e Sarkozy o della sudditanza dell'attuale governo italiano ai poteri forti ed ai governi dominanti dell'Europa.
Napolitano e Monti, in sostanza, sono chiamati ad impedire che dopo il Cavaliere arrivi sul serio il Commendatore. 

Per loro e per il paese!

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