sabato 10 dicembre 2011

Con i tecnici non si fa l’Europa



di Arturo Diaconale

L'unico dato certo è che non stiamo con l’Inghilterra.
Perché Cameron ha spiegato che la Gran Bretagna non rinuncerà mai alla propria piena ed integrale sovranità nazionale.
Ed anche se l’Italia volesse schierarsi dalla parte della sovranità nazionale inglese, sarebbero gli inglesi a non volerci a loro fianco per non avere a che fare con dei fastidiosi intrusi.
Ed allora con chi stiamo?

Con la Francia o con la Germania?
Con il Presidente Sarkozy che pretende di riscrivere le regole dell’Europa in posizione paritaria con la Germania pur avendo alle spalle un paese che vale e pesa la metà di quello della Cancelliera Merkel?

Oppure stiamo dalla parte della Merkel che, se per un verso non vuole giustamente sopportare l’invadenza molesta della Francia e la pretesa degli altri paesi europei di scaricare i propri debiti sulla Germania, per l’altro pretende di imporre a tutto il Vecchio Continente le rego- le dettate da Berlino in nome dell’eterno principio che il popolo tedesco deve essere comunque “uber alles”?
E se non siamo né con Cameron, né con Sarkozy, né con la Merkel, con chi stiamo e quale linea sosteniamo per trovare una soluzione alla crisi dell’euro e dell’Unione Europea?
Il mistero è fitto.
Perché fino ad ora sappiamo solo che l’Italia, ripetendo un mantra che la nostra classe politica recita ottusamente ed acriticamente da alcuni decenni a questa parte, sa solo ribadire che rinuncia alla propria sovranità ed al proprio interesse in nome della sovranità europea e dell’interesse della moneta unica.

Cioè sappiamo che fino ad ora i nostri governanti, sia quelli passati che quelli più recenti, hanno fatto professione di europeismo acritico e passivo volutamente generico.

Un po’ per non dover scegliere nettamente tra Francia e Germania, un po’ per non essere costretti, attraverso una scelta europeista più definita e netta, a dover prendere una posizione chiara anche nei confronti del vero “terzo incomodo” tra le potenze europee, cioè gli Stati Uniti.
Questa pretesa di rimanere nel vago nascondendo l’incapacità di decidere sotto il velo di una sorta di ortodossia europeista ha comportato prezzi salati per gli italiani.
Qualcuno ricorda la tassa per entrare nell’euro che venne imposta dal governo Prodi nel ’96 con la giustificazione che attraverso quel sacrificio l’Italia sarebbe en-
trata nell’età dell’oro dei propri conti pubblici finalmente posti sotto la tutela di una sovranità sovranazionale seria come quella di Bruxelles?
Oggi scopriamo improvvisamente che quei sacrifici non sono serviti a nulla.
Perché quell’europeismo acritico ed ottuso, che non ammetteva osservazioni e critiche di sorta, ha prodotto solo la formazione di una casta burocratica chiusa e costosa che, a sua volta, ha impedito che l’unione monetaria diventasse anche unione politica ed ha creato le condizioni per la grande crisi del momento.

Ma,soprattutto, ci rendiamo improvvisamente conto che è stato un clamoroso errore aver rinunciato ad una fetta consistente della propria sovranità nazionale senza aver elaborato una linea europeista autonoma e costruttiva, capace di condizionare al meglio e nella prospettiva dell’unità politica del vecchio Continente le opposte vocazioni e pretese egemoniche di Francia e Germania.

Si può rimediare, sia pure in extremis, a questo errore?
Purtroppo no.
Perché il governo in carica non è un governo politico ma è l’espressione di quella casta che è stata il prodotto negativo dell’europeismo passivo, acritico ed ottuso.
Probabilmente un esecutivo espresso direttamente dalle forze politiche non potrebbe fare di meglio.
Perché nessuno fino ad ora ha chiarito che la rinuncia alla sovranità nazionale non può essere fatta per ragioni economiche ma solo per un superiore obbiettivo politico.
Di sicuro, però, non è il governo Monti che può risolvere il problema.
 

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