martedì 2 agosto 2011

Vespa: Alfano impari a dire qualche no




Angelino Alfano prende le redini del partito di maggioranza nel momento più difficile per il Pdl, per il governo e per l’Italia.
Alle difficoltà strutturali del Paese e a quelle endemiche della maggioranza si è aggiunta la speculazione finanziaria internazionale che in un posto normale indurrebbe maggioranza e opposizione a marciare unite come si fa in tempo di guerra, ma che da noi può avere effetti imprevedibili.

La commozione con cui Silvio Berlusconi gli ha trasferito il bastone di comando e gli applausi con cui il nuovo segretario del Pdl è stato accolto nelle prime riunioni operative non sono rituali.
Berlusconi ha preso atto che ci si avvia alla fine di un ciclo lungo e importante e i suoi hanno visto con sollievo che la storia può continuare.
La nomina di Alfano e la rinuncia di Berlusconi alla candidatura del 2013 sono state sufficienti a recuperare la fetta del Fli che fa capo ad Andrea Ronchi e Adolfo Urso e a indurre probabilmente Pier Ferdinando Casini a un cambio di strategia, favorito anche dal progressivo spostamento del Pd verso Idv e Sel.

Il compito di Alfano è molto difficile e ha tre corni. Il primo è l’autonomia da Berlusconi.
Il presidente del Consiglio, pure ammaccato, resta tuttora la personalità politica più rilevante in Italia e prescinderne sarebbe sciocco, prima che impossibile.
Alfano non è da tempo né personalmente, né politicamente il «segretario di Berlusconi», come ha detto con una sorprendente caduta di stile Pier Luigi Bersani.
Ma la sua statura politica crescerà anche proporzionalmente ai no che saprà dire oggi e al momento delle candidature a eventuali richieste improprie del presidente.

Il secondo corno riguarda il partito.
Le correnti che lo hanno dilaniato prima della nomina di Alfano non si sono certo sciolte.
Ma sarebbe utile a tutti – a chi viene dalla Prima repubblica e a chi ne conosce la storia – ricordare che le correnti hanno ucciso la Democrazia cristiana, che il «mors tua, vita mea» dentro lo stesso partito non funziona più e che il Pdl può sopravvivere e irrobustirsi solo se saprà stare unito intorno al nuovo segretario, criticandolo quando è necessario, ma senza indebolirlo e delegittimarlo.

Il terzo corno riguarda il rapporto con l’elettorato e con il Paese.
La maggior parte degli italiani sono moderati e se fanno qualche scelta sorprendente di altro segno (Giuliano Pisapia a Milano e Luigi De Magistris a Napoli) è perché governanti e amministratori moderati li hanno delusi.
Panorama ha ricordato nel numero scorso il «rosario politico di Angelino» inanellando sette parole chiave: merito, onestà, passione, primarie, regole, partecipazione, sanzioni. Alfano sa bene che ciascuna di esse può trasformarsi in un albero della cuccagna in cima al quale trovare ogni gratificazione o in un albero al quale impiccarsi.

Da buon cattolico qual è, farebbe bene a rileggersi Le cinque piaghe della Santa Chiesa di Antonio Rosmini, un testo che con profetica preveggenza alla metà dell’Ottocento avvertiva la gerarchia ecclesiastica dei rischi mortali ai quali la Chiesa andava incontro.
Pio IX, che pure voleva un gran bene a Rosmini, mise all’Indice lo scomodo libro.
Alfano sa che il Pdl soffre in ciascuna delle sette parole.
Se vuole sopravvivere e candidarsi alla guida del Paese, faccia di ognuna una bandiera.

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