martedì 2 agosto 2011

ESTERI Stefano e Iendi, uccisi nel 2006 a Kabul, non avranno giustizia

“Sapevano troppo su un giro di false fatturazioni gestito dalle organizzazioni internazionali per intercettare i fondi per la ricostruzione in Afghanistan”. Oggi il caso rischia l’archiviazione

Sono circa le nove e mezzo del mattino di giovedì 16 febbraio del 2006. Un giorno che è cominciato come tutti gli altri, ma che Barbara Siringo ricorderà per sempre. Squilla il telefono, e dall’altra parte il padre di Barbara, che con voce rotta le annuncia la morte di suo fratello, Stefano, che lavorava a Kabul come cooperante della Farnesinanell’ambito di un progetto di sostegno.

LA MORTE IMPROVVISA - Il ragazzo aveva 31 anni all’epoca, e fu trovato morto accanto all’amico e collega Iendi Iannelli, di 26 anni. I due erano distesi, composti, fianco a fianco sul letto della stanza di Iendi nella guesthouse dell’Idlo, un’organizzazione facente capo all’ONU che si occupa di sviluppare e sostenere i sistemi giudiziari in paesi di guerra o in via di sviluppo. Iendi, che era contabile, lavorava nel settore logistico dell’organizzazione. Stefano, che era dipendente del Ministero degli Esteri, non abitava insieme all’amico presso il compound dell’Idlo, ma riceveva un compenso più alto che gli aveva permesso di affittare un piccolo appartamento in città. In una nota, Barbara ricorda che l’appartamento era scalcinato, e Stefano passava volentieri le serate alla guesthouse con i suoi amici Marcello Rossano e Iendi, perché da lì poteva vedere la televisione, avere accesso a internet e soprattutto stare al caldo, perché l’inverno Afghano non perdona.
AMICI IN UN PAESE DISTRUTTO – I due avevano fatto subito amicizia perché lavoravano ad un progetto comune. Iendi per l’Idlo, da cinque mesi a Kabul, Stefano per il “Progetto Giustizia”, da un anno nella città asiatica. Sono i primi anni della ricostruzione e gli aiuti internazionali, pecuniari e logistici, piovono da tutto il mondo per aiutare l’Afghanistan a rialzarsi una volta libero dalla morsa del regime talebano. L’Italia, che fu tra i principali donatori, dispensò aiuti per mezzo miliardo di euro e di questi circa trenta milioni servirono a finanziare il Progetto Giustizia. I soldi giravano, e con essi le speculazioni e gli illeciti: forse proprio per aver visto troppo e aver scoperto uno di questi “percorsi fantasma” in cui si perdevano i fondi italiani, Iendi e Stefano sarebbero stati uccisi.

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