lunedì 1 agosto 2011

Nella "Stalingrado" di Sesto tocca la sinistra e rischi.


Tutto come negli anni settanta.
L'ex presidente della Serravalle Sapelli: Avevo paura fisica di certi padroni.....

                                                                                    di MORIGI


Chi tocca la sinistra rischia la pelle. Era vero nella Sesto San Giovanni degli anni Settanta, ribattezzata allora la Stalingrado d’Italia. Ed è vero anche ora che la “banda di Sesto” tenta la scalata al potere economico. Se n’era già reso conto il professor Giulio Sapelli, presidente dell’Asam, la società che controlla l’Autostrada Serravalle ed è a sua volta controllata al 99% dalla Provincia di Milano. Una pessima esperienza per il professore di Storia economica dell’Università Statale di Milano, che nel 2005 era stato chiamato da Filippo Penati, a quel tempo presidente della Provincia di Milano, a presiedere la holding. Da quell’incarico, disse, «ho imparato molte cose, quindi se non mi ammazzano prima, cosa che penso potrebbe anche essere diciamo possibile, io le scriverò. Con calma, con tutta la documentazione». Dovevano ancora passare quasi quattro anni prima che i magistrati di Monza decidessero di far chiarezza nella vicenda dell’acquisizione del 15% della Serravalle da parte dell’amministrazione del centrosinistra. Ma di fronte alla prima e seconda commissione della Provincia di Milano, il 26 ottobre del 2007, l’accademico non aveva nascosto che «c’è sempre stato un senso di cupa… di cupo senso di minaccia». Ammetteva pubblicamente di aver perfino «avuto un po’ di paura fisica con questi padroni». Sapelli stava parlando del clima che si respirava nella società da cui si era dimesso appena tre settimane prima. Lo descriveva come un incubo, «proprio un po’ come uno vive a volte quando sente che c’è un potere occulto». Dubita fortemente che la società sarà mai quotata in Borsa. Un’operazione del genere comporterebbe un intollerabile livello di trasparenza, spiega il professore, perché «ti impone di sottoporti ai controlli di Borsa. I dati trimestrali, le società di revisione, i Sindaci devono fare i Sindaci, il Collegio Sindacale deve fare il Collegio Sindacale. Ti esponi, casseforti segrete le puoi sempre avere, ma allora devi fare dei falsi in bilancio clamorosi». Quindi non era opportuno, per l’azionista di controllo, perché «credo che la funzione di Serravalle, la funzione reale potremmo dire, che non è quella di gestire un’autostrada ma è un’altra, è un’altra, sarebbe molto difficile esercitarla». Quale? Sapelli risponde secco, per due volte, testuale: «È come Eni Petromin», alludendo all’affare che consentì a Bettino Craxi di dare la scalata al Psi. In questo caso, avrebbe potuto consentire la scalata a Unipol, secondo la tesi dell’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, che aveva sollevato il caso. Di tutta l’audizione, non vi è che una debolissima traccia sugli organi d’informazione del periodo, nonostante l’impegno profuso dall’allora consigliere di opposizione Giovanni De Nicola che, dai banchi di An, aveva chiesto chiarimenti già a partire dal bilancio 2005. Un silenzio che si può spiegare grazie alla rivelazione di un giornalista del Fatto Quotidiano, Ferruccio Sansa. Nella sua carriera, ha lavorato per il Messaggero, La Repubblica, Il Secolo XIX e La Stampa. Sul suo blog, ieri, denunciava «l’amara esperienza di diventare una specie di paria, un intoccabile nella mia città perché ho osato scrivere inchieste sul centrosinistra». L’opera di denigrazione è sistematica, a tappeto: «Mi avvertirono che qualcuno nel Pd faceva circolare l’immancabile voce che ero omosessuale, anzi, “buliccio” come si dice a Genova». I primi attriti avvengono dopo una telefonata a Massimo D’Alema, ai tempi dell’inchiesta su Antonveneta. Sansa, che è figlio di un ex sindaco rosso di Genova, vuole correttamente verificare la notizia sul contratto di leasing dello yacht di Massimo D’Alema, stipulato con una società legata alla Banca Popolare di Lodi. Il peggio arriva «quando con il collega Marco Preve scrissi il libro, Il partito del cemento, dedicato alla passione bipartisan dei politici liguri per il mattone». Nella vicenda sono coinvolti «con anni di anticipo rispetto all’inchiesta della Procura di Roma», Vincenzo Morichini, Franco Pronzato e i loro soci. Gliela faranno pagare cara, dice Sansa, quando avrà l’occasione di entrare «in un grande giornale. Dopo mesi venni a sapere che proprio nel periodo della trattativa i vertici del Pd nazionale avevano fatto arrivare il messaggio che l’incarico non era gradito al partito». Eppure lo avevano avvertito. Alla sede del Pd genovese «uno dei massimi dirigenti locali mi accolse così: “Ecco l’amico di Berlusconi. Vergogna, vattene”, e via con accuse e insulti». Solo per aver osato svolgere la professione del cronista senza esercitare l’autocensura. 

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