lunedì 1 agosto 2011

L’Italia è invasa dagli scandali Pd: hanno 101 indagati, altro che fango!

 

Altro che macchina del fango! Da Flavio Delbono, ex sindaco di Bologna, ad Agazio Loiero, ex governatore della Calabria, fino ad Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino: da Nord a Sud, trema un intero partito. Eppure Bersani ha il coraggio di tirare fuori la "superiorità a sinistra"

di Fabrizio Rondolino  

Se i sondaggi dicessero la verità e se ieri si fosse votato per il rinnovo del Parlamento, oggi Pier Luigi Bersani sarebbe a palazzo Chigi e il Pd avrebbe la maggioranza dei seggi.
 
Interrogarsi sulle violazioni di legge più o meno gravi che vengono imputate a questo o a quel dirigente del Pd non significa dunque imbracciare il giustizialismo per favorire un’altra parte politica, né accanirsi su una forza marginale o sconfitta, ma chiedere al presidente del Consiglio in pectore di rassicurare gli italiani.
 
Se davvero vuol essere un candidato credibile per Palazzo Chigi, Bersani non può più nascondersi dietro la propaganda: lo esigono non i suoi avversari, ma i suoi elettori.

La scorsa settimana, subito dopo aver scritto due lettere al Corriere e al Fatto per rispondere ad alcune obiezioni sull’inchiesta che coinvolge Filippo Penati, il segretario del Pd ha repentinamente cambiato linea: i giornali, anziché essere il luogo dove liberamente si confrontano i politici e l’opinione pubblica, sono improvvisamente diventati il motore della «macchina del fango».
 
La propaganda ha avuto la meglio sulla chiarezza, e poiché il Pd non se la sente di incolpare i magistrati, per esempio sollevando un dubbio sulla sospetta coincidenza di tante inchieste vecchie e nuove proprio quando le elezioni anticipate sembrano vicine, volge i suoi strali contro i giornali, la cui unica colpa (o merito) è pubblicare quello che le Procure forniscono loro.
È un trucco antico: l’attenzione si sposta su un avversario riconoscibile e cattivissimo (i media vicini a Berlusconi), e così si occulta la cosa in sé, cioè le inchieste e i reati contestati.
 
Il Giornale qualche volta potrà pure esagerare nei titoli e negli aggettivi, come del resto spesso esagerano nella direzione inversa i giornali di centrosinistra, ma quel ch’è certo è che le inchieste non se l’è inventate la «struttura Delta», ma i magistrati tanto coccolati dal Pd.

L’elenco pubblicato dall’ultimo numero di Panorama - che sarà pure di proprietà di Marina Berlusconi, ma che qui si limita a mettere insieme fatti già noti - è impressionante: sono oltre un centinaio in tutta Italia (e soprattutto nelle Regioni dove governano) i democratici coinvolti a vario titolo - dall’avviso di garanzia al rinvio a giudizio alla condanna - in inchieste per reati di corruzione, abuso d’ufficio, peculato, falso, truffa, turbativa d’asta e via elencando.

In altri casi (impressionante quello dell’ex governatore dell’Abruzzo, Ottaviano Del Turco) si tratta di un clamoroso errore giudiziario (se non peggio).
Ma, fatta la debita tara, il problema resta, ed è di primaria grandezza.

Dall’ex sindaco di Bologna Flavio Delbono all’ex governatore della Calabria Agazio Loiero, dagli ex sindaci di Napoli Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino all’ex governatore dell’Umbria Maria Rita Lorenzetti, l’elenco degli amministratori del Pd costretti a trovarsi un avvocato sta diventando imbarazzante.

Le ultime inchieste - sull’Enac (l’ex responsabile dei trasporti aerei Franco Pronzato ha già patteggiato, riconoscendosi dunque colpevole), su Enzo Morichini e i suoi rapporti con la Fondazione Italianieuropei, e infine sull’ex coordinatore della segreteria di Bersani, Filippo Penati - non segnano dunque una discontinuità ma, al contrario, sembrano confermare una tendenza consolidata.
Parte di questi reati, come sanno bene gli amministratori locali di ogni partito, sono frutto di una legislazione farraginosa e di una giurisdizione barocca: si può essere condannati per abuso d’ufficio soltanto per aver accelerato una pratica urgente e necessaria.

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