martedì 30 agosto 2011

Bersani poteva non sapere?

CASO PENATI
 
 
 
                                                                     di Arturo Diaconale
 
 
Pare che sia stato Pierluigi Bersani a mettere in contatto Filippo Penati e Marcellino Gavio.
L'attuale segretario del Pd afferma che lui procurò il contatto un anno prima dell'acquisto da parte della Provincia di Milano delle azioni dell'autostrada Milano-Serravalle, operazione a suo tempo denunciata dall'allora sindaco di Milano Albertini ed ora nel mirino dei magistrati di Monza.

E minaccia di sporgere querela nei confronti di chi si permetta di fare il suo nome a proposito di una vicenda da cui, secondo i magistrati inquirenti,
Gavio avrebbe tratto enormi utili destinandone una parte al finanziamento delle attività politiche di Penati.
Ma il problema non è di inserire a forza o a ragione il nome di Bersani nel caso Serravalle.


Con buona pace del massimo esponente del Pd ed a dispetto della linea ufficiale che il partito ha assunto nei confronti della inchiesta su Penati derubricandola ad una semplice questione di errore personale e privato peraltro ancora tutto da dimostrare in tre gradi di giudizio, il problema è di altra e più grande e grave natura.
Si tratta di un problema politico e non personale.

E ruota attorno a quell'interrogativo che nella prima metà degli anni '90 rappresentò il magio giudiziario con il quale il Pool della Procura di Milano smantellò i partiti democratici della Prima Repubblica e l'intero sistema politico della democrazia repubblicana del secondo dopoguerra.

Ma l'attuale segretario del Pd poteva non sapere?
E come lui potevano non sapere tutti quei massimi dirigenti del Partito democratico che provenivano dal quel vecchio Pci-Pds-Ds in cui Filippo Penati era politicamente cresciuto?

Noi sappiamo che l'interrogativo sul “poteva non sapere” con cui i magistrati milanesi dell'epoca avevano liquidato tutti i dirigenti dei partiti democratici e soprattutto l'allora segretario del Psi Bettino Craxi era assolutamente strumentale.

Serviva ad alzare il livello delle inchieste.
A passare dal “mariuolo Mario Chiesa” al leader di un partito che svolgeva il ruolo di ago della bilancia della politica nazionale. Dalla corruzione del singolo alla corruzione dell'intero sistema.
Ma sappiamo anche quella strumentalità assolutamente condannabile per l'uso politico della giustizia (in democrazia le classi politiche le cambiano i cittadini non i magistrati giacobini), servì a mettere in luce, come ammise coraggiosamente lo stesso Craxi nel famoso discorso pronunciato in Parlamento, il fenomeno strutturale del finanziamento illecito della politica, fenomeno che aveva riguardato in forme diverse tutte le forze politiche dell'epoca ad eccezione dei solo radicali.


Sappiamo, infine, che l'arma del “non poteva non sapere” venne usata nei confronti di tutti tranne che dei vertici del Pds e della sinistra Dc.
Nei loro confronti scattò una singolare deroga che li preservò e li salvò dalla valanga della rivoluzione giudiziaria e li avrebbe portati direttamente al governo del paese se non fosse spuntato l'imprevisto rappresentato da Silvio Berlusconi.

A distanza di tanti anni il dubbio che Penati non sia un semplice “mariuolo”, come vorrebbero farlo passare i dirigenti del Pd e lo stesso Bersani, si pone in maniera impellente ed inderogabile.
Ed il dubbio comporta con se la conseguente domanda al segretario del Pd se “poteva non sapere” che un “direttorio democratico” guidato dal capo della sua segreteria si preoccupava di reperire ingenti finanziamenti illeciti per il partito.

E' strumentale questa domanda?

Certo che lo è.
Perché è fin troppo evidente che il caso Penati è il segnale che la deroga di cui usufruirono Pds e sinistra Dc all'epoca del Pool si è esaurita e che Tangentopoli ha toccato, sia pure con estremo ritardo, anche gli eredi di Berlinguer.
Per i quali, sia detto per inciso, deve valere la presunzione d'innocenza ma non può valere la presunzione di intoccabilità.

Bersani, allora, poteva non sapere?

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