giovedì 24 novembre 2011

I Bund nel loro piccolo s’incazzano.

Brutti segnali anche dai nuovi padroni d’Europa
I Bund nel loro piccolo s’incazzano. Vertice al buio Monti-Merkozy

La Bundesbank deve soccorrere l’asta di titoli tedeschi, 
ma Berlino dice un altro “nein” agli Eurobond di Barroso


La festa è finita, anche la Bundfest. Ieri l’asta dei titoli del tesoro tedeschi a dieci anni s’è trasformata in un clamoroso insuccesso: su sei miliardi offerti ne sono stati venduti 3,64. E’ il peggiore risultato di tutti i tempi e senza l’intervento della Bundesbank, che ha speso 2,356 miliardi, sarebbe stata una catastrofe. Quel che la cancelliera Angela Merkel rifiuta alla Bce è benvenuto se lo fa la Buba, che non si sottrae: alla faccia di divorzi e autonomie varie tra governo e Banca centrale, Deutschland über alles. Ma l’evento di ieri è così clamoroso che non si presta a facili ritorsioni. La crisi dell’euro ha raggiunto il cuore del sistema, “i mercati attaccano alla giugulare”, scrivono gli analisti finanziari. Perché i Bund, architrave dell’intero mercato dei titoli a reddito fisso in Europa, non piacciono più? Una spiegazione mercatista è che, con tassi di interesse crescenti ovunque, una grande offerta di bond pubblici e privati, una fase di generale incertezza, gli operatori scelgono non investimenti sicuri ma poco redditizi, bensì il mordi e fuggi su titoli che consentono guadagni rapidi e consistenti. Comprando e rivendendo sul secondario, si possono mettere da parte dei bei tesoretti. Ma c’è anche una spiegazione strutturalista: i Bund non attraggono per lo stesso motivo che prima li aveva resi tanto allettanti. In dodici anni la Germania ha tratto il massimo vantaggio dall’euro. Ora la sensazione di chi investe è che l’arancia sia spremuta. Che la prima economia europea fatichi a raccogliere capitali è “allarmante” anche per Ewald Nowotny, membro del Consiglio dei governatori della Bce, ma non ha impedito alla Merkel di ribadire il “nein” agli Eurobond. “Non funzioneranno”, ha detto dal Bundestag invocando la necessità di un’unione fiscale. Poi ha blindato anche l’ipotesi della Bce come prestatore di ultima istanza. In verità sarebbe “l’unica soluzione” anche per Nicolas Sarkozy, stando a un retroscena svelato dal settimanale Canard enchaîné. Perfino Jutta Urpilainen, ministro delle Finanze della Finlandia, paese solitamente allineatissimo con l’ortodosssia tedesca, in un’intervista al settimanale tedesco Die Zeit ha fatto capire che sull’Eurotower sarà meglio essere pronti a tutto: “Bisogna fare tutto il possibile per mantenere l’indipendenza della Bce – ha detto Urpilainen – ma se tutte le altre misure non dovessero bastare, dovremmo anche ripensare al ruolo della Banca centrale”.

Con il libro verde sulla fattibilità degli Eurobond, ribattezzati Stability bond, la Commissione europea ha inteso aprire un dibattito pubblico “raccogliendo il suggerimento dei leader europei”, ha poi puntualizzato il presidente José Manuel Barroso, fiducioso in un ammorbidimento dei tedeschi com’è stato per l’ampliamento del Fondo salva stati. “Senza una governance economica più forte nella zona euro sarà difficile se non impossibile – ha scandito Barroso – sostenere la moneta unica”. Tre le soluzioni possibili, che hanno tutte per fattore comune il rafforzamento della sorveglianza sulle politiche fiscali. L’8 gennaio, alla fine delle consultazioni, la Commissione esprimerà delle preferenze. Germania permettendo. D’altronde però il divario tra il Modell Deutschland e tutti gli altri diventa un boomerang, perché nessuno riesce a tenere il passo e la moneta unica viene rimessa in discussione. Solo un cambio di direzione può evitare il collasso: Berlino deve aumentare la domanda interna e assorbire merci italiane, spagnole, francesi; consentendo alla Bce di creare una barriera di fuoco attorno all’euro e stroncare così le aspettative di quei mercati che ora rifiutano anche il Bund.

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